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#Selfie, questione di punti di vista

Selfie
Io – ancora e per fortuna – non ci sono cascata. Non per snobismo, ma perché non ci trovo assolutamente niente di nuovo e neanche di bello. Eppure, il fenomeno è inarrestabile e tocca ogni ambito della vita individuale e sociale, compreso quello lavorativo.

L’avete capito, sto parlando dei #selfie. Neologismo che ha una sua precisa definizione nell’Oxford Dictionaries Online dal 28 agosto 2013: “Una fotografia che uno scatta a se stesso, in genere con uno smartphone o una webcam e che viene caricata su un social media“.

Dicevo prima, nulla di nuovo. La pratica dell’autoscatto e, ancora prima, dell’autoritratto non è un’invenzione dei new media. Anche perché questi benedetti nuovi media altro non sono che una riproposizione, trasformazione e solo a volte evoluzione di quelli vecchi, più o meno sapientemente adeguati allo spazio e al tempo in cui si collocano.

Solo due cose cambiano nel caso del selfie: la tecnologia, e quindi la possibilità di ritoccare la propria foto, e la condivisione della stessa sui social network, che prima del 1997 – anno di nascita dell’americano Friendster – non sono mai esistiti.

Il selfie scattato durante la notte degli Oscar e pubblicato da Ellen DeGeneres è stato ritwittato 2 milioni di volte in meno di due ore. Barack Obama è addirittura andato a lezione di selfie. Ci sono criminali più o meno pericolosi – e poco intelligenti aggiungerei – che si sono fatti il selfie prima o dopo le loro bravate.
Ma perché non fare #drivingselfie? O #artselfie, magari rovinando l’opera d’arte accanto a cui si fa la foto? Certo, poi ci sono anche tutte le deformazioni sessuali-pornografiche della materia. E ancora, i vip usano il selfie per avvicinarsi ai fan. Le iniziative, anche benefiche, possono anche partire da una raccolta selfie.

Quella del selfie non è solo una moda, ma una vera e propria corrente che trascina sempre più persone e influenza il mondo del marketing, della pubblicità, della cronaca, dello star system e dello sport.  Uno è il suo punto di forza: fa leva sulla voglia di protagonismo che in qualche modo ci tocca un po’ tutti. Inutile negarlo.

Ora, lasciamo un attimo da parte le considerazioni sociologiche sul fenomeno. Guardiamo al lato pratico della faccenda. Sfondo, punto luce e inquadratura sono gli elementi chiave per l’autoscatto perfetto, ma – navigando sui social network – ci si accorge che non spopolano le location ricercate o gli effetti di luci e ombre studiati ad hoc.

La parte del leone la fanno le espressioni: un tripudio di duck face o kissy face con cui donne e uomini, riempiono Instagram e Facebook. Si divertono, almeno me lo auguro, si rendono ridicoli, il più delle volte, ma soprattutto hanno il loro posto nella rete. E più like hai più sei figo. Prima eri il belloccio di paese, ora sei protagonista del web.

E’ vero che nella pratica del selfie non c’è alcuna ambizione artistica, ma accidenti stiamo comunque parlando di fotografia. E di usare questa forma d’arte in modo so stupid ne abbiamo davvero bisogno? Per forza dev’essere messo tutto sulla pubblica piazza delle banalità?

La forza delle fotografie nasce dalla loro capacità di trasmettere emozioni. Io propongo di evitare di mandare in vacca questa dirompente forma di comunicazione.