Radek Ladczuk

Babadook

Babadook

Babadook, l’uomo nero dell’australiana Jennifer Kent, è approdato nelle sale italiane lo scorso 15 luglio. Fiaba nera, spaccato psicologico di un rapporto madre-figlio, orrore. C’è tutto questo e molto altro in questa opera prima di un’ex attrice che annovera nella sua formazione anche un affiancamento al Lars Von Trier durante le riprese di Dogville e che ha costruito il film per quasi dieci anni, partendo da un suo vecchio corto, Monster.

Amelia è una giovane madre con un figlio ipervivace, violento e scarsamente incline alla socializzazione con i coetanei. E’ nato lo stesso giorno in cui il marito è morto per accompagnarla all’ospedale a partorire. Una vita difficile, la loro, che viene stravolta dalla lettura di un libro che ha come protagonista un mostro, Mr Babadook.

Con il mostro, nel suo vestito nero, con gli artigli e un cappello a cilindro, il male arriva dal buio, si nasconde sotto il letto e nell’armadio e prende le forme dei cappotti appesi alle pareti. Il film si trasforma da dramma psicologico a vero e proprio horror secondo i canoni moderni: messa in scena minimal, un solo luogo di azione e un audace gioco di montaggio.

Si capisce che è un dramma psicologico e si capisce ancora di più che a dirigere Babadook è una donna. Nessun uomo avrebbe potuto cogliere così profondamente il dramma di una madre costretta ad accudire un bambino difficile come Sam e a rielaborare il lutto per la perdita del marito. La pellicola, poi, diventa horror spaventando con poco. Si prende il suo tempo per costruire tensione e terrore: non succede mai niente di eclatante, ma le piccole cose che accadono si inseriscono in un’atmosfera tetra e tesa da restarne terrorizzati.

Completano questo piccolo capolavoro le illustrazioni del grafico americano Alexander Juhasz, la fotografia del polacco Radek Ladczuk e un tono da vecchio film in bianco e nero fine anni ’50.