Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo al 22 febbraio 2014, ore 20 italiane: tutti i social network impazziscono. WhatsApp smette di funzionare per qualche ora e in rete dilaga il panico paura. Senza il servizio di messaggistica istantanea più famoso, il mondo precipita nel più profondo dei burroni, concetto ben espresso nel trend topic di Twitter #whatsappdown.
Il motivo? Qualche ora prima, Jan Koum aveva venduto la sua App a quel gigante piglio-tutto-io di Facebook, e già registrava il primo tonfo. Mentre Mark Zuckerberg si prendeva macumbe di ogni genere e tipo, Koum, seduto sui suoi 19 miliardi di dollari, faceva i conti con la sua coscienza per aver venduto l’anima al diavolo.
Spostiamoci in Russia, nello stesso identico giorno, un paio d’ore più in là. I fratelli Nikolai e Pavel Durov sono lì che se la ridono: il loro Telegram – completamente gratuito per iPhone e Android – viene scaricato nel giro di pochissimo tempo da 5 milioni di utenti che, disperati e in crisi mistico-comunicativa, hanno la necessità di un’App per il messaging.
La domanda a questo punto è una sola. Perché proprio Telegram e non altre applicazioni – WeChat, Viber, Hangouts e Skype, per esempio – che comunque funzionano?
La prima, e più importante, è che l’App che viene dalla Russia è studiata appositamente per garantire la segretezza delle conversazioni.
Un concetto, quello della segretezza, che è esploso ulteriormente dopo l’acquisto di WhatsApp da parte del Faccialibro che, prima di tutto, è un’azienda che campa di raccolta di dati e pubblicità e ha tutto l’interesse ad acquisire le informazioni di chi ne fa uso.
Un esempio? Mettiamo caso che io e un amico nelle conversazioni parliamo di quanto ci piacciono le Fiesta. Non ci vuole niente per Zuckerberg & co. a sparare la pubblicità della Ferrero all’apertura della nostra pagina FB. Una passione dolciaria trasformata in un banner o in un ADV che, diciamocelo, dà fastidio quasi come una pagliuzza in un occhio.
Ecco, sulla falsariga di Snapchat, Telegram offre la possibilità di creare delle chat segrete a cui viene associato un meccanismo di autodistruzione. Roba da spionaggio puro: un timer ricorda entro quanto tutti i messaggi spariscono nel nulla. Per assicurarsi che la codifica sia sicura, si può sfruttare un’immagine creata per funzionare da chiave crittografica. Una sorta di codice di sblocco, insomma.
Per il resto, in un’interfaccia giovane e fresca, con pochi ed essenziali elementi, Telegram consente di avere un’esperienza di utilizzo come Whatsapp: ci sono le normali chat, singole o plurime, e si condividono le stesse cose, tra messaggi, foto, video e posizioni geografiche.
Altra evoluzione: Telegram è presente anche in una versione web, utilizzabile da browser. Quindi, per conversare non è necessario dipendere interamente dallo smartphone. E ancora, ultima cosa, l’App che arriva dal freddo consente a sviluppatori terzi di creare un proprio client Telegram.
Conclusione: caro Mark Zuckerberg, hai una bella messaggistica da pelare.