Scena prima: una donna viene stuprata da un aggressore sconosciuto e mascherato.
Scena seconda: Michèle spazza via i cocci causati dall’assalto, si immerge in un bagno caldo, ordina del sushi, fa le analisi mediche per sicurezza, cambia le serrature, quindi torna al lavoro e agli amici come se niente fosse. Più tardi, ad una cena con l’ex marito e una coppia di amici rivela: “Non so come altro dirvelo, qualche giorno fa sono stata stuprata“.
Michèle è la protagonista di Elle, l’ultima fatica di Paul Verhoeven, Golden Globe come Miglior Film straniero, e di Isabelle Huppert, anche lei premiata l’8 gennaio 2017 come Miglior Attrice in un film drammatico. Film thriller con punte di spassosa comicità che si lascia vedere (e rivedere) senza difficoltà alcuna, Elle è tratto dal romanzo di Philippe Djian Oh…!
Destinato ad essere ambientato e girato negli USA con interpreti americani, i numerosi rifiuti delle attrici che Verhoeven aveva in mente per la parte di Michèle lo hanno fatto tornare sui suoi passi. Meglio così, Isabelle Huppert è perfetta ed incarna totalmente il didascalico titolo. Lei, Elle, è il mistero, il pericolo, il mezzo attraverso il quale chiunque ne esce modificato, stravolto e colpito. Dalla scena iniziale, e dalla struttura fisica, ci aspetteremmo che Michèle sia una vittima. Ma non lo è affatto. La calma inquietante con cui affronta qualunque situazione la mette su un altro livello: il suo auto-controllo è tale da renderla il Personaggio.
Il Personaggio capace di creare con il suo violentatore, che riconosce già a metà film nel vicino di casa, un rapporto morboso. Da stupro diventa ricerca di sesso spinto all’ennesima potenza, voglia di emozioni e di sensazioni che hanno come minimo comune denominatore la violenza. Perché il filo conduttore di Elle è, infatti, la violenza indagata sotto ogni punto di vista. Tutti i personaggi del film si sentono liberi di fare qualunque cosa, tradire gli amici, accettare tradimenti palesi in nome del quieto vivere, sposare qualcuno per pura lussuria, sorvolare come niente fosse su una violenza carnale subita, purché ci sia un tornaconto personale per ciò che concerne l’appagamento dei propri desideri. Ecco perché la pellicola di Verhoeven è anche un’analisi psicologica dei vizi migliori e peggiori della borghesia parigina, di cui la Huppert, splendida sessantenne, è la migliore interprete francese.
Una frase su tutte, pronunciata proprio da Michèle, racchiude il senso di questa pellicola, che mostra la cattiveria, quella vera, senza provare a spiegarla: “La vergogna non è sufficiente ad impedirci di fare certe cose“. Elle lancia la bomba, al pubblico le riflessioni.