Nymphomaniac, il sesso tra vita e arte

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Qualche secondo di nero e poi, sulle note sparate a bomba di Führe Mich – in italiano Guidami – dei Rammstein, si apre il palcoscenico di Nymphomaniac, ultimo film di Lars Von Trier, ininterrottamente scandito dal contrasto tra calma apparente e caos dirompente.

Una donna è per terra, priva di sensi e zeppa di lividi. E’ Joe, la protagonista dell’opera che, nella voce e nel corpo di Charlotte Gainsbourg, si descrive così:

Forse la differenza tra me e le altre persone è che ho sempre chiesto di più al tramonto. I più spettacolari colori, quando il sole incontra l’orizzonte. Forse è questo il mio unico peccato“.

A salvarla è Seligman – dall’ebraico “Colui che è felice“- che non solo la accoglie in casa, ma si offre di ascoltare la sua storia, presentata in un susseguirsi di flashback – dove la Gainsbourg è sostituita dalla giovane e convincente Stacy Martin.

Un percorso di formazione, dai due ai cinquant’anni, scandito in capitoli, secondo una struttura che Von Trier ha usato in forma lieve anche in Melancholia e che ricorda, tra i tanti, il cinema di Quentin Tarantino. Otto capitoli introdotti da un titolo ed un’illustrazione ad hoc, ironica e divertente, che riecheggia lo stile di Wes Anderson.

Joe è una ninfomane ed è fiera di esserlo. Ha meno di dieci anni quando si strofina con un’amichetta sul pavimento del bagno di casa, ne ha pochi di più quando ha un orgasmo spontaneo. Cresce in fretta e conta le prime zompate, rigorosamente 3 + 5, di Jerome, fa a gara con l’amica B. a chi si fa più uomini in un viaggio in treno.
I giri di giostra non si fermano. Belli, brutti, alti, bassi, fisicati, non fisicati: l’importante è che siano uomini e abbiano un pene perfettamente funzionante.
Muore il padre, e Joe fa sesso all’obitorio. Ritrova Jerome, con lui ha un figlio, ma la fame non si placa, anzi deve spingersi verso nuove dimensioni: sotto con i negri e con il violento signor K, principe dell’arte del frustino.
L’età avanza, la vagina è consumata e pullulano le dermatiti sanguinanti proprio lì. Joe trova un lavoro che realizza al meglio la sua abilità: scavare nella sessualità degli uomini per scoprirne la personalità. Ritrova Jerome, ed è lui che la riempie di botte.

Fin qui niente di eccezionale. Alzi la mano la donna che non si ritrova in almeno una di queste azioni appena descritte. Non siate timide, e nemmeno scandalizzate: siamo nel 2014, il concetto di scandalo legato alla sessualità è morto da un pezzo.
Von Trier porta al cinema quello che si è abituati a vedere in un film porno, ha scritto qualcuno. Falso, il regista danese porta al cinema il sesso, usando certamente tecniche di ripresa usate nella pornografia, ma non c’è, in oltre quattro ore di film tra il Volume I e il Volume II una sola penetrazione in primo piano. Lo scopo non è quello di eccitare, ma mostrare le fasi e le conseguenze di un’ossessione che va anche a forgiare il pensiero di una persona. Dice Joe:

L’amore fa appello a istinti più bassi, avvolti nelle bugie.
Come si fa a dire sì quando intendi no e viceversa?

Puntiamo le luci sull’ascoltatore della storia. Seligman è decisamente il migliore confidente che si possa avere: ogni irrazionalità descritta da Joe viene razionalizzata secondo la conoscenza di questo anti sionista asessuato. Il suo primo e appassionato commento al racconto lo descrive metaforicamente con la pesca del pesce volante.
Poi, tutto è spiegato secondo i teoremi della matematica, della filosofia, della letteratura, della medicina, della musica, della religione, dell’iconografia e dell’arte, in qualsiasi forma.
La conoscenza di Seligman è talmente vasta che potrebbe conquistare lo spettatore molto più dei racconti di Joe. Supera qualsiasi preconcetto e/o pregiudizio ed amplifica la potenza delle idee. Passa, con una facilità estrema, dalla polifonia di Bach, alla contrapposizione tra Chiesa orientale / Chiesa della Gioia e Chiesa occidentale / Chiesa della Sofferenza, alla successione di Fibonacci, alle teorie freudiane sullo sviluppo della sessualità nel bambino, a Messalina e alla Grande Meretrice di Babilonia.

Il registro linguistico usato dai due interlocutori è aulico, quasi solenne. C’è totale rispetto dell’opinione convergente o divergente altrui. Il film è un inno al linguaggio. Un esempio? In chiusura di Nymphomaniac Volume I, il monologo della moglie abbandonata Uma Thurman tocca livelli di antologia, quasi fosse una Medea dei giorni nostri. “Le va bene se mostro ai bambini il letto della puttana?” dice, e poi si abbandona ad un urlo disperato.

Diamo un occhio anche ai tre aspetti negativi: a Nymphomaniac manca la bellezza oscura di Melancholia, la seconda opera della trilogia della depressione di Von Trier, ma ha dalla sua momenti di fisicità impressionante che vanno di pari passo con scelte musicali eclettiche.
Un riferimento alla pedofilia corre il rischio, elevatissimo, di essere mal interpretato dai benpensanti. E’ chiaro, il regista lancia la sua ennesima provocazione, ma è bene restarne illesi. Infine, c’è della disparità tra il Volume I, dedicato alla ricerca dell’equilibrio nella follia dell’ossessione, e l’ostentazione del Volume II, intriso di una violenza, a tratti gratuita.

Se siete persone libere da pregiudizi, allora siete pronte per questo film. In caso contrario, non perdete il vostro tempo. A Von Trier non piacerebbe. 

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